I lobotomisti sono tornati!
I ricercatori dell'Università Laval di Quebec City, Canada hanno pubblicato un nuovo studio di psicochirurgia moderna, ma il progetto soffre della maggior parte degli stessi ingiustificabili difetti connessi con la pratica abusiva in voga negli anni 50, compresa la mancanza di consenso informato e di "garanzie" per i diritti dei pazienti. Per motivi che restano incomprensibili, le persone con ossessione e compulsione cronica sono diventati l'obiettivo principale degli psico-chirurghi: anche questo studio canadese si rivolge ai cosiddetti pazienti OCD (Obsessive-Compulsive Disorder - Disturbo Ossessivo-Compulsivo).
La psicochirurgia è la mutilazione o la distruzione del tessuto cerebrale normale per scopi psichiatrici o per il controllo di emozioni e comportamento. La lobotomia è la forma più nota di psicochirurgia e, come suggerisce il nome, distrugge il tessuto cerebrale nei lobi frontali: la sede di tutte le funzioni umane superiori tra cui ragionamento astratto, giudizio, pianificazione, autonomia e indipendenza, autocoscienza, consapevolezza sociale, sensibilità e amore. Altre forme di psicochirurgia colpiscono aree adiacenti e collegate ai lobi frontali e hanno effetti identici o molto simili alla lobotomia.
Due studi conclusivi hanno inequivocabilmente messo in evidenza come la psicochirurgia deprivi l'individuo degli attributi e qualità umane fondamentali. Già nel 1955, P. MacDonald Tow, un lobotomista professionista, ne descriveva i danni come "menomazione dei poteri di astrazione e sintesi, della percezione di relazioni e differenze, della capacità di affrontare situazioni complesse, di pianificare o elaborare l'azione successiva da farsi e le sue conseguenze, nonché la rivalutazione dei propri errori. I processi mentali superiori sono quelli maggiormente lesi e risultano "smussati," a causa di una "generalizzata compromissione dell'attività mentale... più grave nelle funzioni superiori e più peculiarmente umane".
Prima di una lobotomia la maggior parte dei pazienti sono in grado di scrivere una breve biografia di diversi paragrafi su se stessi, compresa la loro sofferenza. Dopo la lobotomia, non sono più in grado di riflettere su sé stessi abbastanza per scrivere qualcosa di significativo, nemmeno una semplice riflessione.
Nel 1982 Heidi Hansen, Ruth Anderson e un team di ricercatori hanno eseguito la più recente e approfondita analisi degli effetti della moderna psicochirurgia, concludendo che i pazienti post-psicochirurgia soffrono di "indifferenza emotiva".
Le capacità del paziente sono ridotte ad una debole iniziativa e scarsa capacità di strutturare la sua situazione; l'emotività svanisce, l'individuo è organizzato più superficialmente ed è più dipendente dalla situazione immediata. Il contatto con le altre persone diventa più appiattito e il comportamento più meccanico.
Il progetto canadese è una ripetizione delle stesse screditate operazioni mutilanti in voga mezzo secolo fa. Il chirurgo non si avvale neanche della più precisa e più recente tecnologia disponibile dal 1960 e ancora oggi infila una cannula attraverso un foro scavato su ogni lato della testa e spinge dei fili giù nel cervello per poi agitarli a mano da un lato all'altro per affettare il tessuto cerebrale un po' come si farebbe con le verdure...
Vengono fatte quattro fette su ogni lato del cervello in una zona chiamata "capsula". La capsula contiene fibre nervose dirette da e verso i lobi frontali. La capsulotomia anteriore è di fatto una lobotomia eseguita con un "affettatore" meccanico vecchio stile. Questa attuale chirurgia ha lo stesso effetto delle più antiche forme di lobotomia, che consisteva nel tagliare le fibre nella parte inferiore dei lobi frontali nel loro percorso verso la capsula interna.
Secondo quanto riferito, le "lesioni" o ferite, create dalle quattro fette su ogni lato del cervello sono stati pari ad una superficie di 11 per 5-6 mm: ne rimangono sconosciuti la profondità o il volume, ma questi sono squarci di distruzione enormi nei percorsi neuronali maggiori che vanno e vengono da e ai maggiori centri del cervello umano.
Quanto precisi erano nel posizionamento delle loro fette? In due casi, la radiologia postoperatoria ha indicato che non avevano fatto un taglio abbastanza grande: così hanno ripetuto l'intervento chirurgico, infliggendo un totale di 16 fette nei cervelli di due persone.
Quando le fibre nel cervello vengono tagliate, i neuroni associati muoiono. E in seguito anche i neuroni adiacenti a quelle cellule morte tendono a morire. Il danno effettivamente cresce nei mesi successivi come un domino. Gli autori non lo menzionano ma il danno provoca gonfiore e infiammazione, di per sé nocivi all'interno di uno spazio chiuso come il cervello.
Nonostante questi due studi ben documentati, gli autori canadesi ignorano completamente gli effetti complessivi della psicochirurgia. Invece hanno seguito i pazienti dopo sette anni al telefono, con intervistatori non addestrati, e chiedendo ai pazienti nient'altro che un elenco formale di 10 domande a cui rispondere con un voto da 0 a 4 sulla presenza o assenza di ossessioni e compulsioni.
I pazienti che hanno segnalato di miglioramento maggiore del 35% nei sette anni sono stati considerati come rispondenti al trattamento e quelli con i maggiori miglioramenti. Solo il 36,8 % dei pazienti ha raggiunto questo standard di miglioramento peraltro molto esiguo. Anche se questi dati fossero corretti, difficilmente giustificherebbero le mutilazioni del cervello e le loro terribili e disumanizzanti conseguenze.
Il fatto che la lobotomia renda le persone indifferenti a se stessi e alla loro situazione, compresi i propri sintomi psicologici, non viene mai menzionato.
I pazienti lobotomizzati hanno poca o nessuna capacità di capire cosa è successo loro.
Non si può scientificamente far conto sulle loro risposte a un questionario al telefono sette anni dopo la distruzione traumatica di porzioni del loro cervello.
Com'è tipico di tutti gli studi di psicochirurgia che ho rivisto nei miei articoli e libri nel corso degli anni, questo dell'università canadese era pieno di difetti multipli. Non c'è stato nessun corrispondente gruppo di controllo di simili pazienti seguiti per sette anni senza psicochirurgia. Il campione era piccolo, limitato a 19 pazienti più altri 5 di cui non si è saputo più nulla.
Ci sono stati gravi incidenti di chirurgia. Gli autori segnalano come "solo due pazienti hanno avuti complicazioni chirurgiche permanenti." Solo due? Questo significa già un tasso incredibile del 10,5%! Oltre a ciò, "il tasso di eventi avversi in generale era del 57,9%," soprattutto in ospedale, tra cui una "sindrome del lobo frontale" in cinque pazienti, che indica un grave effetto acuto della lobotomia stessa. Alcuni pazienti hanno avuto emorragia cerebrale e trombosi venosa profonda, mentre "gli altri hanno lamentato infezione delle vie urinarie e polmonite." E, nascosto nella sezione delle "complicazioni", si trova la menzione dei due pazienti operati una seconda volta (per un totale di 16 lesioni nel cervello).
Questa non è scienza. E', invece, un abuso degli esseri umani indifesi. Lo studio è talmente mal fatto e gravemente distorto nei suoi risultati, che non si riesce a capire come possa essere stato pubblicato in una fonte ufficiale come "Il giornale di neurologia, neurochirurgia e psichiatria". Sarebbe preoccupante se questa ricerca fosse stata approvata da un comitato di revisione istituzionale o da un comitato etico, ma nessuno di questi è menzionato. Il chirurgo potrebbe avere aggirato qualsiasi organo di supervisione sostenendo di fare interventi clinici di routine, e il governo canadese dovrebbe condurre un'indagine su questo e tutti gli altri progetti di psicochirurgia canadese, portandoli allo scrutinio pubblico.
Peter R. Breggin è uno psichiatra, e pratica in uno studio privato a Ithaca, New York. E' anche l'autore di "Smettere l'assunzione dei farmaci psichiatrici". Il suo sito Web è www.breggin.com
Fonte: http://www.huffingtonpost.com/dr-peter-breggin/lobotomy_b_4171395.html
La capsulotomia non è sconosciuta in Europa: dagli anni cinquanta fino al 2000 veniva praticata all'Istituto Karolinska di Stoccolma. In Svezia la pratica fu poi abbandonata per via dei non trascurabili effetti collaterali: più di un terzo dei pazienti hanno mostrato segni di apatia e difficoltà nell'organizzare ed eseguire attività, alcuni hanno sviluppato forme di epilessia, disinibizioni o incontinenza urinaria.