Vuoi sconfiggere la depressione? Fai quello che ho fatto io
La testimonianza di una scrittrice: “Vuoi sconfiggere la depressione? Fai quello che ho fatto io - Prendine il controllo!”
Quando avevo 20 anni, ho sofferto di disperazione suicida. Piangevo per giorni, senza controllo camminando per le strade, perdendo tutto il rispetto di me stessa. Vinsi una prestigiosa borsa di studio di letteratura per due anni in America, e fu li che mi sentii cosi disperatamente sola che un giorno presi un overdose di sonniferi.
Mi trovò la mia coinquilina, fuori dall'appartamento, e fui portata d'urgenza all'ospedale dove mi fu fatta una lavanda gastrica. Ero sempre stata una persona depressa, dal carattere morboso e sofferente di attacchi di panico.
Avevo avuto molte difficoltà da bambina, con un padre violento che prendeva forti dosi di tranquillanti e che spesso litigava con mia madre e con me. Ma da qualche parte, dentro di me, sapevo che la vita era molto meglio di cosi.
Provai delle terapie con approccio molto soft come la psichiatria e la terapia antistress. Mi promisero che mi avrebbero protetto dai miei problemi, ma ciò che più fecero, fu di farmi sentire ancora più sola e senza alcun aiuto.
Non potevo sopportare il fatto di dover prendere degli antidepressivi o dei tranquillanti, perché avevo visto come quei medicinali avessero cambiato la personalità di mio padre; ma di fatto non stavo guarendo.
Durante un attacco di panico, finii per rinchiudermi in una cabina telefonica per chiamare aiuto, ma ero così agitata che non riuscivo a comporre il numero.
Passai un decennio in cerca di un magico stato mentale di felicità e di fiducia in me stessa, finché finii alla University of East Anglia come ricercatrice sullo stress. Ricercavo cos'era che faceva aver successo alle persone nelle difficoltà e nella loro lotta alle circostanze dolorose: mi misi a studiare la psicologia dello sport, in particolare sulle tecniche di addestramento usate dalle milizie romane.
Il segreto, capii, era lo sviluppo della capacità di ripresa nelle avversità; l'affrontare i problemi e l'essere profondamene cambiati da tali esperienze. Così realizzai che il nostro modo attuale di avvicinarci alla depressione e alla disperazione spesso rende le cose ancora peggiori di come sono.
Viviamo in una società troppo protettiva, che crede che il modo di aiutare le persone deboli e vulnerabili sia di assisterli come dei lattanti e di prevenire ogni loro brutta esperienza.
Ma provate ad osservare la quantità di adulti che soffrono di depressione e ansia oggi, e chiedetevi se queste terapie li stiano aiutando o danneggiando?
Un paziente su tre, tra quelli che vanno dal medico di base, avrebbe la depressione. Milioni di persone prendono regolarmente antidepressivi. Essere etichettati come depressi non è una cura. Potrebbe anzi demoralizzarti e prolungare l'intera amara sofferenza.
Siamo ormai abituati a vedere le emozioni negative come disturbi o malattie. E la nostra moderna cultura terapeutica è andata troppo oltre nell'affibbiare etichette alle persone a causa delle loro angosce - etichette che le fanno sentire mentalmente anormali e incapaci di aiutare se stesse.
Molte gente pensa di soffrire di depressione semplicemente perché è afflitta e sta soffrendo per uno dei tanti maltrattamenti che la vita ci dà e, non sapendo che fare per sentirsi meglio, ritiene che sia d'aiuto avere un etichetta che identifichi le loro cattive sensazioni. L'etichetta ha l'effetto di una coperta di Linus, ma non reca alcun vero aiuto.
Anzi potrebbe anche demoralizzarti e prolungare l'intero triste episodio: l’etichettatura come 'depressi' assorbe quella poca energia che hanno ancora a disposizione.
Ebbi un esperienza simile quando ero giovane.
Stavo iniziando come scrittrice, vivevo con i miei genitori, e soffrivo di attacchi di panico che stavano diventando sempre più angoscianti. Avevo l'abitudine di cercare di raggirare i sintomi circondandomi di amici e restando molto impegnata. Ma di notte finivo in terrificanti spirali e avevo davvero paura per la mia sanità.
Una sera decisi che non potevo più scappare da tutto ciò: ero davvero esausta. Mi voltai e affrontai il mostro. Cosi me ne andai in stanza, mi sdraiai , mi strinsi forte e aspettai il peggio.
Ma inaspettatamente, invece del terrore, sentii una pace assoluta. Al piano inferiore il mio violento e impasticcato padre guardava ‘Fronte del Porto.
Ero assolutamente piena d'amore e di pietà per lui, di ammirazione per il film, gratitudine per la nostra piccola casa popolare, per la lampada sulla tv e per il mondo in cui vivevo.
Tutto improvvisamente mi fu chiaro. Non avrei mai più sofferto di attacchi di panico.
MailOnline - 18 Gennaio 2011
Di Angela Patmore
Tutti i pazienti dovrebbero avere quella che viene chiamata una “diagnosi differenziale”. Il medico si procura i dati completi e conduce un esame fisico completo, esclude tutti i possibili problemi che potrebbero causare un insieme di sintomi e descrive gli eventuali effetti collaterali delle terapie consigliate.
Ci sono numerose alternative alle diagnosi e ai trattamenti psichiatrici, comprese cure mediche standard che non richiedono alcuna etichetta degradante e propriamente psichiatrica, né nessun farmaco che altera la mente. I governi dovrebbero approvare e finanziare i trattamenti non farmacologici quali alternative alle droghe pericolose che si sono rivelate non più efficaci del placebo e più pericolose delle droghe da strada.
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani raccomanda di informarsi attentamente, di non accettare facili diagnosi psichiatriche sia per se stessi che per i propri figli, ma richiedere accurate analisi mediche e di avvalersi sempre di un medico se si decide di smettere di assumere terapie a base di psicofarmaci.