Scappi dalla scuola?... La testimonianza di un'insegnante
Sono un'insegnante di sostegno di una scuola media e vorrei rilasciare la mia testimonianza in merito alla somministrazione di psicofarmaci a bambini e ragazzi.
Nell'anno scolastico 2006/2007, dai primi di ottobre, mi trovai a lavorare in una scuola con un ragazzino di 11 anni, certificato con ansia e fobia sociale, che non si presentava a scuola dall'inizio dell'anno. L'anno precedente si era "distinto" per una fuga da scuola già a inizio anno scolastico, portandolo a evitare qualsiasi rapporto con la stessa. Segnalato il caso agli specialisti competenti, il ragazzino si era trovato in pochi mesi seguito da tre specialisti: uno psicologo dell'ULSS, un neuropsichiatra consigliato dallo psicologo stesso e una psicologa da cui andava privatamente. Dal neuropsichiatra il ragazzino si recava una volta ogni mese e mezzo per la sola regolazione dei farmaci (un regolatore dell'umore e un ansiolitico); a volte addirittura si rifiutava di andarci e vi mandava solo la madre perché – mi spiegò poi il ragazzo – lo specialista non gli ispirava nessuna fiducia; anzi, gli sembrava facesse solo il proprio interesse. lo psicologo dell'ULSS incontrava i genitori solo in occasioni delle riunioni genitori-specialista-scuola due volte l'anno, per il resto risultava difficilmente reperibile anche al telefono. La psicologa, invece, incontrava il ragazzo settimanalmente, privatamente nel proprio studio. Era l'unica con cui il ragazzino si fosse aperto inizialmente, ma poi cominciò a non volere più andare nemmeno da lei perché stanco di sentirsi un "diverso", come in effetti era considerato dagli altri ragazzi a scuola.
Personalmente, dopo aver incontrato una prima volta il ragazzino, cercai subito un contatto con gli specialisti che l'avevano in cura per comprendere a fondo la situazione, ma essi si dimostrarono reticenti a rilasciare dichiarazioni e molto vaghi nella spiegazione di "fobia sociale" con cui era stato certificato il ragazzo: il neuropsichiatra addirittura mi rimandò allo psicologo dell'ULSS che l'aveva certificato, come a dire: non so cosa voglia dire, si rivolga a chi ha dato questa "etichetta" al ragazzo!
Erano inoltre discordanti tra loro sulle tattiche da adottare con il ragazzino: chi sosteneva di non esercitare nessuna pressione per farlo entrare in classe, chi riteneva proficuo invece spronarlo a farlo, chi sosteneva impossibile qualsiasi recupero; in generale, tuttavia, tutti concordavano sul fatto che il ritorno in classe del ragazzino e una sua normale frequenza scolastica sarebbero state possibilità del tutto remote, e in ogni caso possibili solo grazie all'azione degli psicofarmaci che il ragazzo stava assumendo.
Quello che amareggiava maggiormente era, però, il completo diniego degli specialisti alla proposta di collaborazione con la scuola per un periodico aggiornamento sull'andamento scolastico e comportamentale del ragazzo: non si informavano mai presso la sottoscritta, né presso altri insegnanti o il dirigente scolastico, anzi, quello che gli specialisti riuscivano a reperire era meramente quanto i genitori riferivano loro durante i loro sporadici incontri, limitandosi a dire quel poco che potevano sapere.
In quanto insegnante di sostegno del ragazzo mi sono dunque prodigata nel ricercare informazioni su questa "patologia" in internet, provvedendo poi a trasmetterle ai colleghi del consiglio di classe e alla famiglia stessa, ignara di quanto volesse dire "fobia sociale" in quanto nessuno fino ad allora aveva mai provveduto a spiegarglielo.
Ogni giorno è diventato dunque, per la nostra scuola, un terreno di addestramento alla rieducazione di questo ragazzo, in collaborazione (più o meno attiva) dei colleghi e con la famiglia. Seguendo il ragazzino in un'aula a parte per due mesi e mezzo si è riusciti ad ottenere da lui una sempre maggior regolarità sia nella frequenza scolastica, sia nel rendimento in compiti a casa e verifiche a scuola, con un aumento di autostima e un graduale miglioramento nell'impegno. Risultavano tuttavia palesi nel ragazzino scarsa memoria, difficoltà di concentrazione e un progressivo stato depressivo che preoccupavano tanto noi docenti quanto, in primis, la famiglia stessa. Sorse così il dubbio che tale stato negativo dipendesse dai farmaci che il ragazzino stava assumendo. Dopo aver dato un'occhiata alla posologia dei farmaci abbiamo infatti individuato tra gli effetti collaterali gli stessi sintomi che ravvedevamo nel ragazzo. Per di più, ciò che allarmava maggiormente tanto la famiglia quanto noi, era il fatto che il neuropsichiatra intendeva aumentare la dose dei farmaci o quanto meno sostituirne uno con un altro più potente, senza aver mai chiesto alla scuola informazioni in merito a progressi/regressi del ragazzo.
A questo punto, dunque, si è ritenuto necessario ricontattare gli specialisti per far loro presente la situazione. Ma, mentre la psicologa confermava tali sintomi perché li rilevava lei stessa nel ragazzo, il neuropsichiatra negò il tutto, asserendo alla madre che tali farmaci non avevano nessuna controindicazione e che il ragazzo doveva assolutamente continuare a prenderli.
Giunti alla fine del 1° quadrimestre, e dovendo quindi prendere decisioni importanti sulla valutazione scolastica del ragazzo, in accordo con la famiglia si è fatto un nuovo tentativo nel richiedere, questa volta per iscritto, la sintomatologia tipica di una persona "affetta" da fobia sociale, con preghiera di rinviare la risposta alla scuola al più presto per presentarla in occasione dell'imminente consiglio di classe. Su consiglio dello psicologo dell'ULSS tale richiesta è pervenuta direttamente al neuropsichiatra tramite la madre durante un appuntamento concordato da tempo; grande è stata tuttavia la delusione della madre e nostra per la sua reazione: "Che vogliono da me? Che si rivolgano allo psicologo che l'ha certificato! Comunque, gli scriverò qualcosa con calma", leggendo velocemente e stizzosamente il foglio che, tra l'altro, lo informava dei notevoli progressi registrati nel ragazzo e, al contempo, dei preoccupanti sintomi sopra elencati. A tutt'oggi, a distanza di diversi mesi da quella richiesta, né alla scuola né alla famiglia è mai pervenuto nulla di quanto richiesto. Quel foglio, tuttavia, valse a far cambiare idea allo specialista, che rivide la sua posizione e non aumentò la cura farmacologia del ragazzo.
Nel frattempo la famiglia, stanca delle continue lamentele del ragazzo per crampi allo stomaco in seguito alle assunzioni dell'ansiolitico, e preoccupata della sua crescente depressione, insonnia e irritabilità in casa, di propria iniziativa e senza avvertire gli specialisti tolse completamente il farmaco al figlio, riducendo inoltre di poche gocce alla settimana la dose dell'altro (regolatore dell'umore), fino ad arrivare alla fine dell'anno scolastico in cui il ragazzo non assumeva oramai più nulla.
Nel contempo si attuò tutto un lavoro di riavvicinamento del ragazzo alla zona della sua aula e ai suoi compagni, cercando di rafforzare in lui coraggio e forza di volontà nel ripristinare una situazione orami persa da tempo.
Risultato: non solo il ragazzo pian piano ricominciò a dormire la notte e ad essere un po' più sereno, ma iniziò anche a stare con i propri compagni uscendo con loro a ricreazione e seguendo le lezioni in classe per un numero di ore sempre maggiore, fino alla totalità dell'orario scolastico. Prese addirittura parte ad alcune gite scolastiche, alle attività scolastiche di laboratorio di scultura con alcuni compagni e ragazzi di altre classi, e frequentò per mesi il corso di pianoforte a scuola.
Questa situazione durò tre mesi tra inevitabili alti e bassi del ragazzino e con grande soddisfazione della famiglia, che nel frattempo tolse completamente anche il secondo farmaco. Solo nelle ultime settimane di scuola il ragazzino si rese conto di non riuscire a stare al passo dei compagni con le lezioni e di non poter affrontare le verifiche, perciò tornò a richiedere la frequenza con l'insegnante di sostegno in un'aula a parte.
Grande fu infine la sorpresa dello psicologo dell'ULSS quando, in occasione dell'ultimo incontro di verifica genitori-specialista-scuola, venne a sapere dai genitori stessi come avevano agito; era infatti convinto che il rientro del ragazzo a una vita scolastica relativamente normale fosse merito degli psicofarmaci!...
Quello che è risultato particolarmente significativo in tutta questa vicenda, tanto per la famiglia e il ragazzino quanto per la scuola, è il ritorno alla vita di un ragazzo che, per propri complessi di inferiorità e mancanza di autostima tipici di quest'età, nonché per tutta una serie di fattori legati al passato e all'educazione in famiglia, a causa di una semplice debolezza (fuga da scuola), si è ritrovato improvvisamente imprigionato nell'etichetta di una patologia e di farmaci di cui né lui né la famiglia comprendevano il motivo, con la conseguente progressiva chiusura alla vita nella convinzione di essere e di rimanere un "diverso". L'autostima e la determinazione guadagnati in pochi mesi hanno rafforzato sia in lui che nella famiglia la risolutezza di non voler assumere più alcun psicofarmaco, e il rammarico di non averci pensato prima.
In fede,
V.S.