"Sequestro" in psichiatria: si va verso l’archiviazione?
Preoccupano le motivazioni che creerebbero un pericoloso precedente per le nostre libertà fondamentali
Ancona. Il giudice per le indagini preliminari ha fissato per il 3 febbraio l’udienza sulla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero in merito alla denuncia di sequestro di persona formulata da un ex paziente contro i medici dell’ospedale Torrette di Ancona. La vicenda nasce nel 2011 quando la querelante, si reca al pronto soccorso per un malore. La donna, in passato, si era rivolta con fiducia al servizio pubblico per essere aiutata in alcuni momenti tristi della sua vita, ma non aveva di certo una “storia psichiatrica”. Purtroppo, anche a causa di tale “fedina sanitaria”, invece di individuare le cause fisiche del malore, è stata inviata al reparto di psichiatria dove veniva “convinta” ad essere ricoverata in regime "volontario". E qui comincia il suo calvario.
Da quel momento e per i successivi dieci giorni della mia vita non ero più padrona della mia vita. La mia volontà è stata sistematicamente ignorata e calpestata,” ci racconta la vittima, “già da subito mi sono resa conto che l’ambiente era ben diverso da quanto potevo immaginare e hanno iniziato subito a cercare di impormi la terapia farmacologica che rifiutavo. Resami conto dell’inferno in cui ero finita ho iniziato a chiedere di essere dimessa ma non mi hanno lasciato uscire. Non auguro a nessuno un’esperienza simile, mi sono sentita privata dei miei diritti fondamentali senza nessuna reale giustificazione medica. Infatti sono rimasta segregata lì senza nessun provvedimento della magistratura dato che non è stato richiesto alcun TSO. Ho deciso di procedere legalmente perché voglio che altre persone non subiscano quello che ho subito io.
In effetti il comportamento dei medici del reparto è stato a nostro avviso molto grave. Nonostante le reiterate richieste di dimissioni della paziente non le veniva permesso di uscire e non venivano attivate le procedure di garanzia previste dalla legge 180, che includono anche la convalida del ricovero obbligatorio da parte della magistratura. Se una persona viene privata della sua libertà personale senza nessun pronunciamento della magistratura si tratta di un sequestro di persona. Il fatto che la richiesta di uscire sia stata riportata nelle cartelle cliniche dimostra “per tabulas” (espressione del diritto che sta ad indicare che un determinato fatto o dato risulta dagli atti) che il reato si è consumato, come sostiene l’avvocato della donna Matteo Moriggi del Foro di Viterbo.
Secondo il nostro comitato l’eventuale archiviazione di questo procedimento (comunque tuttora in corso) costituirebbe un pericolosissimo precedente per i nostri diritti individuali sanciti dalla Costituzione. La libertà personale è inviolabile e una archiviazione di questo tipo potrebbe giustificare l’imprigionamento di una persona senza alcun pronunciamento del giudice: in mancanza di una verifica della magistratura qualsiasi persona scomoda, avversario politico, contestatore, ecc. potrebbe essere rinchiuso contro la sua volontà solo in base alla decisione di un medico. Il nostro sconcerto deriva in particolare dalle affermazioni del consulente tecnico del Pubblico Ministero. Infatti nella sua perizia sostiene che: “… i protocolli terapeutici, improntati alla «buona pratica medica» appaiono rispettati…”. Scrive anche che la paziente “… richiede incongruamente le dimissioni…”. Lo stesso perito, pertanto, ammette implicitamente la sussistenza del reato di sequestro di persona, salvo poi definire “incongrua” la volontà della paziente. La legge 180, in verità, prevede alcune (seppur minime e secondo noi insufficienti) garanzie ai pazienti e, fra queste, vi è la specifica previsione che, se un paziente rifiuta il ricovero o richiede di uscire, anche se in maniera eventualmente “incongrua”, si dovrebbe comunque seguire la legge e rivolgersi alla magistratura per convalidare una misura tanto drastica come la privazione della libertà personale, convalida che in questa vicenda non è mai stata effettuata e neppure richiesta da alcun membro del personale sanitario, prolungando così il ricovero forzato per molti giorni. Ebbene, nonostante siffatti abusi e gravi omissioni, il consulente tecnico del Pubblico Ministero conclude paradossalmente per la generale correttezza dell'operato dei medici.
L'avvocato della donna ha dunque richiesto un controllo da parte del Giudice, che ha effettivamente fissato udienza a tal fine, per verificare l'operato del Pubblico Ministero e del relativo consulente, che appare quantomeno superficiale e viziato da una concezione culturale della psichiatria superata e irrispettosa delle libertà individuali dei pazienti.
Ci auguriamo che, finalmente, il Giudice delle indagini preliminari possa esprimere il proprio parere sull'operato degli inquirenti, ordinando nuove indagini ed evitando così la creazione di un pericoloso precedente.