La ricerca neuropsichiatrica messa in dubbio da grossolani errori concettuali
Professore di Harvard: "I neuroscienziati non capiscono la statistica"
"Scoperto il neurone dell'odio" - "Trovato il centro della religione" - "L'amore si trova nel cervello" ecc. I media ci propinano sempre più spesso articoli roboanti, ricchi d'immagini suggestive, decantando le magnifiche sorti, e progressive, della ricerca neuropsichiatrica.
Recenti studi mettono però in serio dubbio molti di questi risultati: i dati sarebbero trattati con tale approssimazione e negligenza da poter falsare le conclusioni.
Un gruppo di studiosi dell'Università di Amsterdam ha pubblicato un lavoro sulla rivista "Nature Neuroscience" (vol. 17, 2014, pp. 491-496) in cui dimostra la fallacia di molti neuro-esperimenti. Il 53% di ben 314 studi presi in considerazione omettevano di tener conto della struttura "nidificata" (o complessa) dei loro dati di partenza. Ignorare questo fattore - spiegano gli esperti di statistica - comporta un aumento dell'80% della probabilità di trarre conclusioni sbagliate.
In un'altra ricerca, proveniente dall'Università di Bristol e pubblicata sulla stessa rivista (vol. 13, 2013, pp. 365-376), gli autori denunciano la bassa rilevanza statistica di molti di questi studi, spiegando come ciò comporti un elevato rischio di ritenere vero ciò che non lo è. "Ne conseguono sovrastime del fenomeno investigato, e bassa riproducibilità dei risultati" conclude l'articolo, aggiungendo come ci siano anche "implicazioni etiche, perché la ricerca inaffidabile è inefficace e sprecona".
Ancora la stessa rivista (vol. 14, 2011, pp. 1105-1107), ha pubblicato uno studio di alcuni ricercatori della prestigiosa Università di Leiden dal titolo Analisi erronee d'interazioni in neuroscienza.
Gli autori hanno rivisto ben 513 articoli di neuroscienza, pubblicati dalle cinque più rilevanti riviste del settore, evidenziando errori statistici procedurali che "nei due terzi dei casi potrebbero generare gravi conseguenze" e, a volte, " influenzano lo studio in maniera sostanziale".
La neuroscienza è una disciplina relativamente nuova, e in anni recenti ha conosciuto una rapida espansione dovuta alla disponibilità di nuove tecniche di neuro-imaging (la cattura di immagini radiologiche di tipo dinamico: mostrano l'attività di un'area del cervello e non la sola struttura). Alcuni di questi studi, per esempio, si propongono di dimostrare influenze tra genetica, attività cerebrale e cosiddetti disturbi mentali. Ebbene, cervello e genetica sono ancora poco conosciuti: molti fattori sfuggono alla nostra comprensione e, per ammissione degli stessi scienziati, più studiamo questi soggetti e più si complicano. Per non parlare della psichiatria: i cosiddetti disturbi mentali sono diagnosticati in base a comportamenti e pensieri del paziente, e la loro diagnosi è così soggettiva e arbitraria da impedire quella riproducibilità di risultati che invece viene richiesta nella ricerca medica.
Le variabili in gioco sono dunque numerose e in parte sconosciute, rendendo necessaria una profonda conoscenza delle leggi della statistica per valutare i dati. Emery Brown, professore di neuroscienze computazionali a Harvard, ha recentemente dichiarato:
C'è un errore fondamentale nel sistema: i neuroscienziati non capiscono abbastanza di statistica per fare le cose nel modo giusto, e non ci sono abbastanza statistici che li possano aiutare.
Uomo avvisato, mezzo salvato: la prossima volta che leggiamo un articolo, magari condito con immagini di cervelli multicolori, ma ricco di verbi coniugati al condizionale o al congiuntivo, in cui qualcuno vanta la scoperta del superneurone, prendiamolo con quella giusta dose di scetticismo che non fa mai male.