L’Associazione Psichiatrica Americana stabilisce un limite temporale al lutto: dopo un po’ diventa malattia
Un anno per gli adulti, e sei mesi per adolescenti: secondo il comunicato pubblicato sul loro sito lo scorso 23 settembre, questo il limite oltre il quale, secondo l’Associazione Psichiatrica American, il lutto diventa malattia. Il disturbo da lutto prolungato (Prolonged Grief Disorder) ha così fatto il suo ingresso ufficiale nel DSM – il fantasioso elenco di malattie mentali pubblicato dall’APA e utilizzato internazionalmente – che lo includerà nella prossima edizione. Secondo la presidente APA Vivian B. Pender:
“Se recentemente hai sofferto la perdita di un caro, è molto importante verificare la cosa con te stesso. Il lutto in queste circostanze è normale, ma non a un certo livello e non per la maggior parte della giornata, quasi tutti i giorni per giorni e giorni.”
Inutile chiedersi quale fosse l’evidenza scientifica che abbia consentito di stabilire il limite temporale alla tristezza: come per gli altri trecentosessanta e passa ‘disturbi’ elencati nel DSM, il Disturbo da Lutto Prolungato non è stato ‘scoperto’ ma, semplicemente, ‘votato in esistenza’ dai dirigenti dell’APA. E, a differenza di quanto avviene in medicina, la diagnosi non prevede test strumentali oggettivi e ripetibili ma la semplice valutazione di una serie di pensieri e comportamenti, definiti con termine pseudomedico “sintomi”, e descritti con termini vaghi e dall’interpretazione arbitraria:
- Identità perturbata. (sentirsi come se fosse morta una parte di sé)
- Marcato senso di rifiuto della morte.
- Evitare le cose che ci ricordano che la persona è morta.
- Dolore emotivo intenso (per esempio rabbia, amarezza, dispiacere) in relazione alla morte.
- Difficoltà a reintegrarsi. (vedere amici, interessarsi a qualcosa, pianificare il futuro)
- Solitudine intensa.
Nelle parole di Margaret Hagen, psicologa e ricercatrice dell’Università di Boston:
“Date le loro farsesche procedure ‘empiriche’ con le quali giungono a nuovi disturbi, con relative liste di sintomi, ci si chiede come faccia l’APA a pretendere che il loro manuale diagnostico abbia un fondamento scientifico sperimentale.”
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