Non frequenta la scuola per paura dei bulli: va tolto alla famiglia
In un concitato incontro i servizi sociali impongono l’allontanamento dalla famiglia: non siete genitori degni! CCDU: denunciamo la superficialità di certe soluzioni psichiatriche; se fossero poveri, avrebbero perso il bambino
Roma . Alcuni giorni fa una famiglia disperata ha contattato il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU) Onlus perché i servizi sociali territoriali volevano imporre il collocamento del figlio dodicenne in una comunità.
Secondo quanto sostenuto dalla famiglia e confermato poi dalla documentazione, il figlio rifiutava da mesi di frequentare la scuola a causa di ripetuti episodi di bullismo cui era stato soggetto. I genitori avevano aderito a tutte le prescrizioni e percorsi terapeutici proposti, ma il bambino continuava a rifiutarsi di andare a scuola.
Nel recente incontro i Servizi Sociali, pur senza elementi oggettivi a sostegno della loro tesi, avrebbero scaricato sui genitori tutte le colpe delle difficoltà del figlio.
Hanno anche sostenuto la necessità del collocamento in una comunità residenziale, senza peraltro fornire alcuna reale dimostrazione dell’utilità di tale proposta.
I genitori erano affranti sia per la possibile perdita del figlio sia perché si rendevano conto che questo ulteriore trauma avrebbe potuto danneggiare la sua salute.
Si sono sentiti impotenti di fronte alle decisioni dei Servizi Sociali anche per il modo, non certo amichevole a dire della famiglia, con cui sono state comunicate.
Fortunatamente hanno trovato un bravo avvocato che, anche su suggerimento del Comitato, ha trovato un bravo consulente. Il consulente, dopo aver visto il bambino, a seguito di una breve ma approfondita analisi del caso, ha individuato subito gli errori commessi e l’ha preso in carico.
Il bambino ora si sta riprendendo e dopo le vacanze tornerà certamente a scuola.
Nel frattempo l’avvocato ha mandato una comunicazione ai servizi, e la famiglia ha informato i Servizi Sociali dell’intervento del Comitato. Pare che per ora i servizi si siano ritirati e non stiano più insistendo su una proposta talmente invasiva.
“Se la famiglia fosse stata povera, il bambino sarebbe finito in una casa famiglia.”
Sostiene Paolo Roat Responsabile Nazionale Tutela Minori del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU) Onlus, che continua:
“Grazie all’intervento tempestivo di professionisti validi ed esperti si è potuto evitare questo trauma al bambino.
Ma le famiglie povere non hanno scampo.
Questi allontanamenti facili, a mio avviso, nascono dall’affidarsi acriticamente alle teorie e protocolli tipici della psichiatria istituzionale e coercitiva.
In alcuni ambiti psichiatrici questo comportamento è normale. Gli psichiatri che non riescono ad aiutare una persona e quindi a volte usano la forza (TSO) per imporre le loro «terapie», causando nuovo degrado. Lo stesso schema è all’opera anche in certi dipartimenti di tutela dei minori: si cerca di aiutare la famiglia e/o il bambino, a volte per pregiudizi e incompetenza si fallisce, si finisce quindi per incolpare la famiglia e si ricorre all’uso di strumenti coercitivi.
La psichiatria non è in grado di produrre diagnosi oggettive, basate su test probanti: per questo dovrebbe essere rimossa dall'ambito della giustizia minorile per porre fine a questi abusi.”
Purtroppo il pericolo non è ancora scampato.
La famiglia, infatti, paga lo scotto del pregiudizio derivante da un precedente errore che non è ancora stato sanato.
Nel 2013, a causa di presunti problemi con il figlio maggiore (ora maggiorenne) e nonostante tali criticità fossero state completamente chiarite e corrette, il Tribunale aveva disposto l’affidamento di entrambi i figli ai Servizi Sociali per l’instabilità della madre come riferito dai Servizi Sociali.
La limitazione della responsabilità genitoriale pare essere una misura eccessiva per dei semplici problemi di salute di uno dei genitori senza alcun indicatore di pericolosità.
Tale decisione del Tribunale potrebbe integrare la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare secondo l’articolo 8 della Convenzione di Roma per la tutela dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali.
Agli atti non risulta alcuna documentazione d’instabilità materna, e non si sa da dove nasca questa informazione: la famiglia ci assicura che la mamma non ha mai sofferto di problemi psichici.
Dato che in pratica i figli rimanevano a casa, i genitori hanno accettato a malincuore di lasciar entrare i servizi nella loro vita e di essere controllati da loro.
Ma ora, anche in virtù di tale affidamento, se i genitori rifiutassero la comunità, i servizi potrebbero chiedere al Tribunale di inserire il bambino coattivamente in struttura.
Sembra che dopo l’intervento del consulente le acque si siano calmate, ma la famiglia ancora non dorme sonni tranquilli.