Richiesta di rinvio a giudizio per gli Psichiatri accusati della morte di Luca Gambini
Sullo psichiatra M.G., la sua collega, A. D. M. oltre agli infermieri E. C., C. G. e L. C. pende una richiesta di rinvio a giudizio nella causa penale che dovrà accertare la verità sulla morte del povero Luca Gambini. I capi d’accusa sono omicidio colposo, cooperazione nell’omicidio, negligenza, imperizia e imprudenza.
L’ennesima dimostrazione dell’inumanità dei reparti psichiatrici e della psichiatria.
Sullo psichiatra M.G., la sua collega, A. D. M. oltre agli infermieri E. C., C. G. e L. C. pende una richiesta di rinvio a giudizio nella causa penale che dovrà accertare la verità sulla morte del povero Luca Gambini. I capi d’accusa sono omicidio colposo, cooperazione nell’omicidio, negligenza, imperizia e imprudenza. Quello che successe in quelle drammatiche 20 ore è riportato nel dispositivo del Tribunale di Perugia. Da qui emerge chiara l’accusa che nessuno si prese effettivamente cura della persona e che per questa ragione Luca morì.
Il nostro Comitato è stato contattato dalla famiglia che non sa darsi pace per l’accaduto e ci ha comunicato quanto sopra inviandoci il documento via fax. Il timore che queste persone la passino liscia è vissuto dalla famiglia con un ansia indicibile e con le lacrime agli occhi, così ci parla la sorella di Luca, Cristina. Dalla famiglia abbiamo ricevuto diverse telefonate tutte con una disperata richiesta di aiuto ma con la determinata volontà di ottenere giustizia e chi ha sbagliato deve pagare. Non solo per il fatto in se, ma soprattutto per evitare che altre persone subiscano la stessa sorte.
Come Comitato la verità che constatiamo ogni giorno è che sono cambiati i luoghi, ma non i metodi e medesima è la totale mancanza di umanità e rispetto.
Negli anni 90 fummo artefici di 30 blitz nei residui manicomiali dove documentammo un orrore così indicibile da segnare per sempre i nostri ricordi. Eppure nessuno degli psichiatri ed operatori, direttamente responsabili di quella spaventosa condizione in cui versavano le persone rinchiuse, fu mai perseguito dalla legge.
Alcuni subirono solo un trasferimento, come se la sofferenza per decenni di migliaia di persone non contasse nulla. Ora ci sono gli SPDC e tutte le altre sigle con cui sono chiamati i reparti psichiatrici, ma il trattamento, non è cambiato. Le denunce che regolarmente riceviamo parlano di ricatti, violenze, stupri. Ma il fatto paradossale è che chi in seguito valuta tali abusi sono gli stessi psichiatri.
In una mail ricevuta recentemente una ragazza di 15 anni riferisce che vive nel terrore perché la psichiatra che l’ha in carico la minaccia di farle un TSO se non assume psicofarmaci. Un altro caso simile lo abbiamo segnalato a Cerveteri e molti altri ci vengono segnalati.
In Italia, come in molti altri paesi, manca la cultura del danno. Si da per scontato che la psichiatria sia li per aiutare, o come amano dire, per curare la malattia mentale, ma gli abusi sono così numerosi che la domanda che sorge spontanea è: che tipo di medicina è questa?