Costretti a pagare una psicologa e dare psicofarmaci al bambino per non farselo portare via
Per anni due genitori hanno pagato profumatamente una psicoterapeuta e giudice onorario del tribunale, per scongiurare la possibilità di un allontanamento coatto del figlio. Ma ora si scopre che era sano.
Bologna. Il Tribunale per i minorenni ha accolto l’istanza di revisione dell’avvocato Francesco Miraglia e fissato la data dell’udienza in cui si cercherà di porre fine a un’annosa vicenda che vede contrapposti una famiglia e un ragazzo ai servizi di tutela minorile. Secondo l’attuale decreto del Tribunale, infatti, i Servizi avrebbero facoltà di disporre “gli interventi necessari anche senza il consenso dei genitori, se ritenuto nell’interesse del minore e della sua salute” .
La vera vittima di questa vicenda è il ragazzo, costretto per anni a sottoporsi a psicoterapie invasive e ad assumere pesanti psicofarmaci, perché sui genitori pendeva, e formalmente pende tuttora, la spada di Damocle dell’allontanamento coatto dalla famiglia in caso di rifiuto alle terapie.
Questa vicenda kafkiana nasce nel settembre 2011, quando il bambino inizia con entusiasmo la prima media inferiore presso una scuola privata. Dopo qualche settimana il bambino manifesta sintomi di grande disagio e terrore, coliche, vomito, pipi addosso in classe.
Alessio (nome di fantasia) si ribella con tutta la sua forza e non vuole più tornare a scuola. I genitori, uno stimato dirigente bancario e una nota conduttrice televisiva, cambiano scuola al figlio ma decidono di presentare una denuncia contro ignoti. A seguito delle accuse, la scuola si difende imputando al piccolo di avere problemi mentali dovuti non alla scuola ma alla presunta inadeguatezza dei genitori.
Dopo un anno sembra tutto taccia. Ma improvvisamente piomba sulla famiglia il Tribunale per i minorenni di Bologna con accuse infamanti di ipercuria, sindrome di Munchausen per procura e persino pratiche astrologiche ed esorcismi: accuse ridicole se non fosse per le loro terribili conseguenze.
Accuse, in definitiva, fondate principalmente sulle relazioni dei servizi sociali e sulle valutazioni degli psicologi. Il tribunale, senza alcuna reale e approfondita istruttoria, ma sulla base delle relazioni pervenute, affida il bambino al Servizio competente per assicurarsi in modo prescrittivo della “presa in carico terapeutica”, e affinché riferisca con tempestività della “necessità di più severi e incisivi provvedimenti di tutela”.
In pratica, si intima ai genitori di sottoporre il minore alla psicoterapia e agli psicofarmaci imposti dai medici, pena l’allontanamento coatto dalla famiglia. Come già menzionato in precedenza, in fin dei conti la vittima effettiva di questo provvedimento è il bambino che, nonostante abbia sempre contestato le presunte diagnosi e le conseguenti terapie, per anni si vede costretto ad accettarle inascoltato.
Nella vicenda si inserisce una psicologa che assume un ruolo di primo piano. I genitori, terrorizzati dall’allontanamento coatto, si affidano a questa professionista che ha un ruolo importante all’interno del tribunale: è, infatti, un giudice onorario. Probabilmente in seguito al suo intervento il bambino non viene allontanato, ma costretto a seguire un percorso terapeutico, guarda caso proprio con questa stessa professionista. I genitori ingoiano il rospo e lo affidano a questa psicologa nonostante la forte ritrosia del figlio.
Nel frattempo il ragazzo cresce e diventa sempre più determinato. Dopo più di 3 anni di psicoterapia “volontaria” a spese della famiglia, insiste per cessare la psicoterapia e gli psicofarmaci. Ormai è grande e determinato. Si lamenta di essere diventato obeso a causa dell'assunzione dei farmaci. Ha bisogno di mare e di sport.
Nel gennaio del 2016 la verità comincia a venire a galla. Ora non è solo Alessio a dirlo: le sue parole sono confermate dalla relazione clinica del Responsabile dell’Azienda Unità Sanitaria Locale. Nei test si evidenziano, tra il resto, “punteggi nella norma in tutte le aree indagate” , “elevati livelli di autostima ”, un punteggio “nettamente inferiore al valore di soglia per la depressione” , “forte attaccamento alle figure genitoriali” . E sebbene si confermi la “presenza di ansia” , “non sono emersi elementi psicopatologici”.
In definitiva la ASL propone una “modifica del progetto che punti più al sostegno della socializzazione esterna mediante un intervento educativo”. Cioè, niente più farmaci né psicoterapia, come da sempre richiesto dal ragazzo. Finalmente qualcuno lo ascolta!
La famiglia è sollevata e decide di sospendere la psicoterapia comunicandolo formalmente alla psicologa. Alessio potrebbe finalmente riprendersi la sua vita.
Ma la psicologa non ci sta. Scrive ai Servizi Sociali che inviano una mail in cui intimano ai genitori di continuare la psicoterapia e chiedono alla ASL un “parere clinico riguardo ai potenziali rischi per la sua salute qualora interrompesse la psicoterapia”. Una risposta negativa a tale richiesta, naturalmente, aprirebbe la strada all’allontanamento coatto del figlio.
I genitori decidono allora di tutelare fino in fondo la salute del figlio, di non cedere e di porre fine al castello di bugie e alterazioni che sta rovinando il figlio. Decidono di rivolgersi al Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani e all’avvocato Miraglia per essere tutelati. Inoltre, in accordo con la ASL, i farmaci vengono gradualmente dismessi.
Attualmente il ragazzo è sereno e sta vivendo una vita normale, come tutti i suoi coetanei. Oggi, assieme ai suoi genitori, guarda con speranza alla prossima udienza che, ci auguriamo, potrà finalmente liberarlo dai trattamenti forzati, in conformità con la nostra Carta Costituzionale.
“Purtroppo non è il primo caso in cui ci imbattiamo.”
Sostiene Paolo Roat, Responsabile Nazionale Tutela Minori del CCDU Onlus.
“Centinaia di ragazzi e famiglie in tutta Italia sono costretti ad assoggettarsi a terapie coercitive e all’assunzione di farmaci sulla base di diagnosi e valutazioni - spesso superficiali ed errate.
Anni fa siamo stati i primi a sostenere che l’introduzione della legge 170/2010 sulla dislessia avrebbe aumentato i pericoli di medicalizzazione della scuola e portato a una deriva farmacologica.
Infatti, sebbene i disturbi specifici dell’apprendimento non prevedano di per sé un trattamento farmacologico, essi comportano la presa in carico da parte del servizio di neuropsichiatria infantile, dove si diagnosticano altri disturbi in ‘co-morbilità’, si mette mano al ricettario e si attiva il distributore di pillole. Ora molti ci stanno dando ragione e chiedono con forza la revisione di questa legge.
Nel frattempo, la realtà ha superato i nostri incubi più neri. Infatti, cosa inimmaginabile fino a pochi anni fa, sono in netto aumento i casi in cui si ricorre alla forza e al tribunale per imporre coattivamente cure psichiatriche e farmacologiche su dei bambini.
In alcuni casi, soprattutto se le famiglie sono povere e non si possono permettere consulenti e avvocati di grido, i bambini vengono addirittura allontanati forzatamente dalle famiglie per essere ‘curati’.”
Ci auguriamo che oltre a sanare le ingiustizie subite da questo minore, il tribunale rifletta sulla necessità di migliorare le procedure istruttorie al fine di evitare falsi positivi e abusi sui bambini. Chiediamo anche a chi compete di indagare sul comportamento della psicologa, sia dal punto di vista deontologico, sia in merito ai suoi possibili conflitti di interesse.