Perché è urgente riformare il TSO
Ogni giorno la cronaca ci propone dei TSO scaturiti da motivi di ordine pubblico o controllo sociale nei quali, palesemente, le prime due lettere della sigla sono bellamente ignorate: non c’è nessun trattamento e non c’è niente di sanitario. Tra i casi recenti di questi TSO citiamo il quarantenne di Agrigento reo di aver danneggiato mobili dell’ospedale, il trentanovenne di Milano che gettò la mamma fuori dall’auto e poi aggredì un tranviere, e l’uomo colto a lavarsi le parti intime in una fontana pubblica nel salernitano (per quest’ultimo, sarebbe stato molto più utile, più appropriato, e addirittura più economico, pagargli una notte in un albergo con doccia).
Nell’immaginario collettivo, il trattamento coercitivo è ancora giustificato dal concetto di pericolosità, ma il cliché del matto pericoloso è una leggenda metropolitana. Chi subisce TSO non è un individuo pericoloso, ma, spesso, qualcuno che pensa o si comporta in maniera diversa dalla media. Diventano violenti solo quando vengono presi con la forza, legati come salami, e costretti ad assumere farmaci controvoglia. Farmaci che, curiosamente, non fanno bene a chi li assume, ma a chi li somministra o (parente o vicino di casa) ha sporto denuncia. La legge che impropriamente prende il nome di Basaglia, sostituendo la legge ‘Giolitti’ sul ricovero coatto, abbandonò il concetto di controllo sociale a favore di un concetto terapeutico: non più un ‘alienato’ pericoloso per sé o altri, ma un malato bisognoso di cure.
Eppure, l’assurdità del TSO è evidente: se i cosiddetti disturbi mentali consistono d’idee e/o comportamenti ritenuti anormali, come si può sperare di guarire una persona (convincerla, cioè, a cambiare idee o comportamento) tramite coercizione? Semmai, l’uso della forza, per esempio su una persona con manie di persecuzione, rafforzerebbe la sua idea che “tutti ce l’hanno con lui”. Il bene, o la salute della persona non c’entrano niente: la salute di un fumatore migliorerebbe se smettesse di fumare, ma nessuno si sogna di “curarlo” legandolo mani e piedi per impedirgli di fumare.
Difficile, pur utilizzando il fantasioso manuale dei disturbi mentali, immaginare di quale malattia soffrissero i tre malcapitati di cui sopra né, tantomeno, come ne siano stati curati. Da questi episodi si ricava l’immagine di una giustizia che, forse a causa dell’ormai cronica lentezza, non riesce a occuparsi di reati minori e preferisce delegarne la gestione agli psichiatri. E si rivela il vero volto di una psichiatria con funzioni di controllo sociale che, come previsto da Basaglia, non ha abbandonato la logica manicomiale ma l’ha semplicemente trasferita negli ospedali.(www.ccdu.org/comunicati/quarantadue-anni-dalla-chiusura-manicomi)
Come diceva Thomas Szasz, professore emerito di psichiatria e co-fondatore del CCHR, “Quando garantiamo ai funzionari medici dello Stato il potere di imprigionare persone innocenti, non c'è alcun modo realistico di prevenire che essi, e i loro superiori, abusino della legge.” Per questo è necessaria una riforma che finalmente metta in atto i diritti umani in questo settore.